Antonio Misiani, deputato di Bergamo per il Partito democratico, commenta il via libera alla legge sulle unioni civili.

L’amore è l’amore, ha detto pochi mesi fa il presidente Obama festeggiando la sentenza con cui la Corte suprema ha riconosciuto il matrimonio egualitario in tutti gli Stati. L’amore è l’amore, possiamo dire ora in Italia dopo che la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge sulle unioni civili.

Questa legge è il coronamento di trent’anni di battaglie, di sofferenze, di illusioni e di delusioni. Nel 2010 era stata la Corte costituzionale ad evidenziare il ritardo del nostro Paese, nel 2015 era stata la volta della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Ora possiamo mettere un punto fermo. Il Parlamento è finalmente riuscito a colmare questa grande lacuna giuridica, garantendo alle persone omosessuali la piena libertà di amare, di costruire una stabile vita di coppia, di godere degli stessi diritti riconosciuti nella maggioranza dei Paesi avanzati.

C’è stata tanta, troppa ideologia nelle discussioni che hanno accompagnato il percorso parlamentare di questa legge. Non da una sola parte, mi viene da dire. Mi auguro che il tempo ci permetta di superare queste contrapposizioni.

Questa legge non toglie nulla alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio riconosciuta dall’articolo 29 della Costituzione. L’unione civile tra omosessuali non toglie valore al matrimonio.

Riconosce alla vita familiare omosessuale la dignità che merita. Estende diritti a chi fino ad oggi non li aveva, nel solco di quanto scritto negli articoli 2 e 3 della Costituzione, che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo e affermano la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini.

La nuova legge disciplina tanti aspetti della vita delle coppie omosessuali, dal diritto all’assistenza morale e materiale alla comunione dei beni, dai diritti successori alla possibilità di assumere un cognome comune, dalle modalità di scioglimento dell’unione alla reversibilità delle pensioni. La legge non si occupa solo dei diritti, ma anche dei doveri, dell’assunzione pubblica, formale di una responsabilità verso il proprio compagno di vita.

E’ una bellissima parola, “responsabilità”. Vuol dire superare ogni individualismo, riconoscere che nessun uomo è un’isola, condividere il principio che costruire una famiglia vuol dire innanzitutto prendersi cura di chi ne fa parte, vuol dire anteporre alle proprie esigenze il percorso comune che si è intrapreso.

Questo è quanto abbiamo voluto affermare con la legge sulle unioni civili. Non è una legge perfetta perché non esistono leggi perfette. Le norme che i Parlamenti approvano sono figlie dei tempi, degli orientamenti politici e culturali prevalenti. Sarà il tempo a dirci quanto di questa legge funzionerà e quanto andrà migliorato.

Nella mia esperienza parlamentare ho vissuto momenti straordinariamente belli e altri assai meno entusiasmanti. Ho sofferto, come tanti miei colleghi, la frustrazione di un lavoro che spesso non è riconosciuto e in parecchi casi ha una ricaduta molto lontana sulla vita quotidiana dei cittadini.

L’approvazione di questa legge è, a mio giudizio, uno dei passaggi più “alti” di questa legislatura. Un passaggio destinato a segnare una discontinuità vera, un “prima” e un “dopo” nella vita concreta di tantissime persone che da tanti, troppi anni ne attendevano l’approvazione.