Il Pil e le chiacchiere stanno a zero. Tutti gli indicatori confermano la stagnazione. La congiuntura è peggiorata in quasi tutta la zona Euro ma il divario di crescita tra l’Italia e il resto d’Europa si è allargato. Un dato, quest’ultimo, che certifica il fallimento della politica economica del Governo gialloverde. L’“anno bellissimo” pronosticato dal presidente Conte è diventato un “anno perduto”. Lega e 5 Stelle avevano puntato tutto sull’effetto espansivo del reddito di cittadinanza e di quota 100. Questa scommessa è stata clamorosamente persa e il 2020 è una grande incognita.

Salvini e Di Maio sono divisi su tutto e non hanno la più pallida idea di come affrontare la prossima manovra di bilancio. L’emblema del caos della maggioranza è il fisco: la Lega insiste sulla Flat tax, i 5 Stelle rilanciano il taglio del cuneo fiscale, il ministro Tria parla di revisione degli scaglioni e delle aliquote Irpef, nessuno spiega come trovare i 23 miliardi necessari per scongiurare l’aumento dell’IVA. Parafrasando Mao, grande è la confusione sotto il cielo gialloverde. Ma la situazione, per l’Italia, non è favorevole.

Certo, abbiamo scampato la procedura di infrazione e la febbre dello spread è diminuita. Ma la tregua sarà di breve durata, se il governo non chiarirà presto la rotta che intende seguire. E la temperatura dei mercati potrebbe tornare presto a salire, se ripartisse il balletto di dichiarazioni velleitarie e irresponsabili.

Bisogna fare i conti con la realtà: i margini di manovra sono molto limitati. È indispensabile selezionare con attenzione le priorità concordando con l’Europa un percorso che permetta all’Italia di tornare a crescere mantenendo sotto controllo i conti pubblici. La direttrice di Confindustria, Marcella Panucci, ha ragione quando sottolinea il valore della convergenza delle parti sociali su alcuni punti fondamentali. Questa condivisione dovrebbe essere una base di lavoro importante per il governo. Lo è sicuramente per il Pd, che nella prospettiva della Costituente delle Idee lanciata da Nicola Zingaretti vuole promuovere un confronto a tutto campo sulle grandi scelte economiche e sociali.

Il primo nodo è il potere d’acquisto dei salari. L’aumento delle aliquote IVA va bloccato, senza se e senza ma. Per aumentare le retribuzioni medie nette occorre migliorare la produttività e insieme ridurre le tasse sul lavoro, destinando a questo scopo le risorse recuperabili con un piano ambizioso di lotta all’evasione.

Nel Piano per l’Italia abbiamo suggerito di portare il bonus per il lavoro dipendente fino a 1.500 euro annui, estendendolo agli incapienti e ai redditi medi. La proposta del Pd – simile per molti versi all’Earned Income Tax Credit americano – avrebbe un costo simile alla Flat tax di Salvini ma concentrerebbe gli sgravi sui redditi bassi e medi, mentre la “tassa piatta” della Lega beneficerebbe quasi esclusivamente le famiglie più benestanti, dato che già oggi l’80% dei contribuenti ha un’aliquota effettiva media inferiore al 15%. Una scorciatoia controproducente sarebbe invece l’introduzione di un salario minimo legale, che rischierebbe di scardinare la contrattazione collettiva nazionale.

La strada maestra, secondo il Pd, è riconoscere valore legale erga omnes ai contratti firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative (per mettere fuori gioco i contratti “pirata”) e lasciare alle parti sociali la determinazione di una soglia residuale di garanzia per i soli lavoratori non coperti da un contratto collettivo nazionale. È una soluzione di buon senso: è vicina a quanto il governo stesso ha scritto nel Def e aiuterebbe a uscire dal vicolo cieco in cui anche su questo tema ci hanno messo la Lega e i 5 Stelle.

Il rilancio degli investimenti è l’altra variabile chiave per uscire dalla stagnazione. Secondo ANCE le risorse pubbliche disponibili nei prossimi 15 anni ammontano a 220 miliardi, di cui 126 per le sole amministrazioni centrali. Il problema, dunque, non sono i soldi, ma gli obiettivi verso cui indirizzarli e la capacità di spenderli in tempi rapidi. Le risorse vanno concentrate sullo sviluppo sostenibile e il contrasto del cambiamento climatico: fonti rinnovabili, riqualificazione energetica e sismica degli edifici, mobilità sostenibile, lotta al dissesto idrogeologico.

Investire su un “Green new deal” per l’Italia produrrebbe grandi benefici non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e occupazionale. Verso lo sviluppo sostenibile andrebbero orientati anche gli investimenti privati, lanciando un piano “Impresa 4.0 Green” per l’economia verde.

La capacità di spendere le risorse disponibili è una questione cruciale: è materia tecnica ma anche questione politica. Un governo degno di questo nome lavorerebbe giorno e notte per sbloccare le opere già finanziate. Noi, invece, abbiamo avuto il decreto sbloccacantieri – inutile e dannoso – e tredici mesi di litigi sulla Tav Torino-Lione, con l’epilogo da barzelletta che andrà in scena in Senato la prossima settimana.

Terza priorità, il welfare. Scuola e sanità sono i punti cardine di un contratto sociale che va riscritto. I tassi inaccettabili di dispersione scolastica e analfabetismo funzionale e i bassi livelli di istruzione pregiudicano lo sviluppo, minano la coesione sociale e indeboliscono la democrazia. Il sistema sanitario nazionale, una delle più grandi conquiste del dopoguerra, è messo a rischio dall’allargamento dei divari regionali, dall’invecchiamento della popolazione e dai costi crescenti delle cure.

In entrambi i casi, non basta ridefinire obiettivi e governance. Bisogna recuperare ingenti risorse da investire. Risorse per azzerare i costi dell’istruzione dal nido all’università per le famiglie a reddito basso e medio, estendere il tempo pieno, digitalizzare le scuole e pagare meglio gli insegnanti. Risorse per garantire i livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni, per assumere medici e infermieri, per aiutare i non autosufficienti e le loro famiglie. Deve essere questa la missione di una nuova stagione di revisione e riqualificazione della spesa pubblica.

Su queste sfide vogliamo confrontarci con le parti sociali. Il governo gialloverde è al capolinea. Abbiamo il dovere di offrire all’Italia un’alternativa credibile. Lo potremo fare solo costruendo una nuova piattaforma di governo insieme alle energie migliori del Paese.