l saldo netto è positivo, ma per le riforme “di sistema” se ne parla nella prossima legislatura. E’ questo il succo dell’insieme di interventi che il disegno di legge di bilancio 2018 dovrebbe prevedere per gli enti locali. Sottolineo “dovrebbe”, perché questo articolo è stato scritto in assenza del testo ufficiale del disegno di legge di bilancio, non ancora depositato in Parlamento.

Il quadro economico-finanziario del Paese nel corso del 2017 è migliorato: l’anno si chiuderà con una crescita del Pil di un punto e mezzo (ma forse di più, guardando gli ultimi indicatori congiunturali…) e gli spazi di flessibilità ottenuti dalla Commissione europea hanno permesso di impostare una legge di bilancio “soft”. Niente aumenti di tasse, niente tagli lacrime e sangue. Tre quarti dei venti miliardi della manovra sono assorbiti dalla disapplicazione degli aumenti IVA. Tra i cinque miliardi rimanenti trovano spazio alcune misure significative per i comuni e gli enti di area vasta.
Le risorse aggiuntive per le province (secondo le ultime bozze della legge di bilancio: 270 milioni nel 2018, 110 milioni annui nel biennio 2019-2020 e 180 milioni dal 2021) e le città metropolitane (82 milioni nel 2018) dovrebbero mettere definitivamente in sicurezza questi enti, che negli ultimi tre anni hanno vissuto costantemente sull’orlo del default. A queste risorse si aggiungono 30 milioni annui per il triennio 2018-2020 per le province in dissesto o predissesto. Quanto all’auspicabile “tagliando” della riforma Delrio, non ci sarà il tempo di farlo in questa legislatura.
La legge di bilancio punta ulteriormente sugli investimenti, allargando di 200 milioni annui nel 2019 e nel 2020 gli spazi finanziari introdotti nel 2017 (destinati ai comuni che hanno accumulato rilevanti avanzi di bilancio). E’ una scelta molto condivisibile: le amministrazioni locali nel 2016 hanno realizzato oltre metà di tutti gli investimenti pubblici ma negli ultimi sette anni si sono drasticamente ridotti (-37 per cento rispetto al “picco” del 2009). Il mancato riavvio del ciclo di investimenti locali dipende sicuramente da una questione di risorse. Molto, però, pesano gli intoppi derivanti dall’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti e dall’indebolimento della capacità progettuale degli enti.
La legge di bilancio conferma il rimborso ai comuni del minor gettito IMU-TASI (con lo stanziamento di 300 milioni per il 2018, non validi per il pareggio di bilancio) e stanzia importanti risorse per attenuare il concorso delle regioni al riequilibrio dei conti pubblici (2,2 miliardi per la riduzione del debito e 100 milioni per il settore non sanitario).
Il blocco delle aliquote delle imposte comunali viene prorogato a tutto il 2018. Le ragioni politiche di questa decisione sono facilmente immaginabili, a pochi mesi dalle elezioni. Rimane però aperto il nodo del ripristino della piena autonomia di entrata degli enti locali. Abolita la Tasi sulla prima casa nel 2016, questo tema è rimasto un tabù. Andrà affrontato dal prossimo governo: lo stop imposto ai comuni dura dal 2016 e combinato con l’entrata in vigore del fondo crediti di dubbia esigibilità (che congela spazi crescenti di spesa nei bilanci comunali) sta mettendo sotto stress i conti di moltissimi comuni. Il dossier della riorganizzazione della fiscalità locale va ripreso in mano, a partire dalle grandi incompiute: la local tax e la revisione degli estimi catastali.
Last but not least, gli incentivi per le fusioni dei comuni, che vengono ulteriormente rafforzati. La legge di bilancio 2017 li aveva portati al 50 per cento dei trasferimenti 2010. Nel 2018 saliranno al 60 per cento, con un aumento della soglia massima per comune da 2 a 3 milioni di euro. Nelle ultime bozze della legge è entrato un primo, piccolo rifinanziamento della legge sui piccoli comuni, approvata finalmente il 28 settembre scorso (dopo un’attesa di sedici anni!) ma scarsamente dotata dal punto di vista finanziario. Nulla di fatto, infine, per la riforma della gestione associata obbligatoria delle funzioni dei piccoli comuni. Nel governo c’è da tempo un consenso di massima verso la proposta ANCI (che attribuisce agli enti di area vasta la responsabilità della programmazione della gestione associata nei singoli territori), ma difficilmente una norma di carattere ordinamentale come questa entrerà nella legge di bilancio. L’ipotesi più probabile, ad oggi, è l’ennesimo rinvio dei termini previsti dal Dl 78 del 2010, affidando alla prossima legislatura un intervento più organico.