LASCIA DOPO 4 ANNI
Antonio Misiani, lascia l’incarico di tesoriere del Pd. È sollevato?
«Provo sentimenti contrastanti – spiega il deputato – Da un lato, significa ricominciare a vivere. Ma c’è anche un pizzico di dispiacere nel chiudere un’esperienza».
Quanto è durata?
«Quattro anni, intensi e duri. Me lo chiese Bersani nel novembre del 2009. Pensavo di dovergli dare una mano, ma non avrei mai immaginato per un incarico così delicato».
Perché aveva tanti timori?
«Per la cattiva nomea che da sempre accompagna i tesorieri».
Temeva di lasciarci le penne.
«No, temevo di rimanere schiacciato dalle responsabilità. Questo è un ruolo che si esercita in assoluta solitudine. L’unica regola per salvarsi è tenere i piedi per terra».
Ma basta questo?
«Bisogna alzare al massimo il livello di trasparenza e di innovazione. Alcune scelte fatte ci hanno risparmiato dal discredito».
A cosa si riferisce?
«Alla certificazione del bilancio, per esempio. O alla rendicontazione online di tutte le spese».
C’è chi obietta che non c’è proprio tutto sul web.
«C’è chi vorrebbe le singole fatture. Ma c’è anche la privacy. Fornire servizi ad un partito per un’azienda privata non sempre è facile».
Quanti soldi ha gestito?
« Duecento milioni in 4 anni». Roba da piccolo Cuccia. «Da amministratore di un’azienda di medie dimensioni…».
Quanti dipendenti ha il Pd?
«Meno di 200. I DS e la Margherita sommati ne avevano 330».
Ma cosa c’azzecca un politico con tanti soldi da gestire?
«Lo statuto del Pd prevede che il tesoriere sia un politico con competenze tecniche. Sono laureato alla Bocconi e ho fatto l’assessore al Bilancio del Comune di Bergamo».
Quanta gente veniva a battere cassa da lei?
«Tantissima. Il nostro è un partito che fa tante attività. E tutto passa dal tesoriere».
Avrà detto anche dei no. Quale è stato quello più doloroso?
«Quando abbiamo dovuto fare tagli alla televisione Youdem. E’ saltato anche qualche posto di lavoro e mi è spiaciuto».
Ha dovuto frequentare anche personaggi chiacchierati, come il suo collega tesoriere della ex Margherita, Luigi Lusi.
«Abbiamo avuto rapporti di lavoro, nulla più. Uno dei giorni peggiori della mia esperienza è stato il 31 gennaio 2012 quando rientrando in ufficio a Roma sono stato investito dalle notizie del cosiddetto “caso Lusi”. Avevo capito che sarebbe stato l’inizio di un’ondata di discredito per i partiti».
Fondata, è il caso di dire…
«Il sistema è fallito perché ha dato soldi a tutti senza controlli».
E il famoso oro di Mosca?
«Ah, ah, mai visto un rublo».
Al suo arrivo avrà dovuto far cambiare abitudini a qualcuno.
«Ero un ragazzo di paese che si è trovato di fronte un altro mondo».
Che cosa l’ha stupita?
«L’ondata di questioni che ti investono e su cui devi decidere rapidamente».
Le è toccato lavorare davvero.
«Ero temprato dall’esperienza da assessore».
Rapporti con D’Alema?
«Lo incontrai all’inizio e mi disse: “Ricordati che il Comune di Roma, l’Unità e i Ds hanno due cose in comune: le voragini e l’essere stati guidati da Veltroni…”».
E Veltroni, mai visto?
«Con Bersani non bazzicava il partito. Mi definiva il bersaniano dal volto umano…».
Di cosa si è pentito?
«Non commissionerei più certi sondaggi (9.000 euro l’uno) che poi ci sono stati fatali perché ci hanno illuso di vincere. Come quelli che hanno preceduto le elezioni del 25 febbraio».
Gestendo tante risorse, mai venuta la tentazione?
«Il contante è stato abolito ma con la certificazione è impossibile fare i furbi».
Non si sente un privilegiato?
«Fare il tesoriere è un mestiere ingrato, ma è uno snodo politico fondamentale. Sei al centro di decisioni importanti».
Quanto si guadagna?
«Nulla. Non un centesimo in più dello stipendio da parlamentare. Quanto? Circa 10 mila euro netti, ma 2500 vanno al partito».
Perché l’ha fatto, allora?
«Per senso di responsabilità».
C’è anche un altro tornaconto.
«Il potere, innegabile. Ma bisogna gestirlo con intelligenza».
Ha dovuto subire attacchi dall’altro fronte politico.
«Li ho avuto da Libero e dal Giornale. Ma li ho querelati e sono stati costretti a pagare».
Anche Grillo non è stato tenero.
«In un post ha messo la mia foto segnaletica accanto a quella di Lusi e Belsito. L’ho denunciato, è stato rinviato a giudizio. Il 12 c’è l’udienza».
È arrivato al termine del mandato. Ora cosa farà?
«Farò il deputato semplice occupandomi di economia e finanza».
È rimasto fedele a Bersani fino alla fine. Mai pensato di cambiare casacca come tanti altri?
«Sono negato per gli sport, compreso il salto sul carro».
Come gruppo dirigente avete commesso gravi errori.
«Bersani è stato perfetto fino alle primarie, poi ha perso energia».
Era convinto di avere già vinto?
«I sondaggi ci hanno fregato. Aveva intuito l’arrivo dell’ondata populista, ma la risposta è stata al di sotto dell domanda di cambiamento del Paese».
Qual è stata la pietra tombale?
«La mancata elezione di Prodi. Ero con Bersani e Letta quando ci accorgemmo che mancavano i voti. Capimmo che era finita».
Arriva Renzi. A lei non piace.
«Non lo voto. Non mi piace la sua mediatizzazione estrema né la sua idea di partito».
Ma è un segno di novità.
«Segnerà una discontinuità vera, questo sì».
Non dovrebbe essere un male.
«Anche se vedo che Renzi è affettuosamente circondato da Veltroni, Franceschini, Fassino…».
09 dicembre 2013

Cesare Zapperi